Olimpiadi 2024: Benedetta Pilato, un legno di qualità
La nuotatrice tarantina sorride a chi pensa che se non vinci fallisci e dimostra che i sacrifici hanno un valore intrinseco indipendentemente dal risultato finale.
Le Olimpiadi di Parigi 2024 hanno fatto parlare di sé sotto tutti i punti di vista, tra medaglie vinte, record storici e le condizioni discutibili del Villaggio Olimpico, privo di aria condizionata e con un’offerta culinaria di basso livello.
Aspetti positivi ma anche zone d’ombra, tra queste, purtroppo, anche l’interazione che ha visto protagoniste Benedetta Pilato, Elisabetta Caporale ed Elisa Di Francisca.
La natura del dibattito ha avuto origine lunedì 29 Luglio quando Benedetta Pilato – classe 2005, attualmente alla sua seconda partecipazione Olimpica – terminata la finale dei 100 rana al quarto posto per un solo centesimo di secondo, arriva ai microfoni Rai e, visibilmente commossa, spiega: “Ci ho provato fino alla fine. Mi dispiace. Però sono contenta. Sono lacrime di gioia, ve lo giuro. È stato il giorno più bello della mia vita”.
Elisabetta Caporale, inviata Rai e ormai una pietra miliare nel mondo del giornalismo sportivo italiano, le risponde sbigottita: “Ma veramente? Ci lasci senza parole. È strano vederti contenta, tutti si aspettavano di vederti sul podio”.
Subito dopo, in studio, interviene anche Elisa Di Francisca – ex schermitrice classe ’82 – la quale rincara la dose dicendo: Non so se ci fa o ci è. Non ho capito niente […] Non è possibile che dica «Io sono contenta», è assurdo […] Che ci è venuta fare? (alle Olimpiadi, ndr)”.
In seguito a questo scambio si è sviluppato sui social un movimento in difesa di Benedetta Pilato (e pro pre-pensionamento della Caporale) che è diventata la rappresentate dell’evidente divario generazionale tra Boomer, Millennial e Gen Z.
L’incredulità di Elisabetta Caporale e lo scherno di Elisa di Francisca incarnano perfettamente una logica sportiva che concede soddisfazione solo in caso di vittoria perché “il secondo è il primo degli sconfitti”. Una visione secondo cui se puoi giocartela e arrivi secondo è già abbastanza deludente, figuriamoci arrivare terzo. Non essere nemmeno tra i gradini del podio permette a chi ti intervista di sbeffeggiarti in diretta nazionale.
Di fronte alla retorica (malata) del “se vuoi puoi”, emerge così Benedetta Pilato che si dice contenta del suo quarto posto. Non solo perché non si aspettava di gareggiare a quel livello, ma soprattutto perché ci ha provato dall’inizio alla fine, e questo è sufficiente.
Lei stessa ha ammesso che arrivare quarti per un centesimo di secondo dà molto fastidio, ma nella sua maturità agonistica spiega chiaramente che non è disposta a macchiare di delusione immotivata un risultato che le dà gioia.
Non si tratta di ipocrisia, naturalmente vincere piace a tutti.
La questione però è diversa: con educazione ed estrema consapevolezza una ragazza di 19 anni ha dimostrato che il sacrificio non si completa solo con una medaglia al collo. Lo sforzo, la fatica, gli allenamenti fatti prima della gara non si annullano perché non si vince la medaglia che la Caporale o la Di Francisca di turno si aspettano che tu vinca.
Il lavoro svolto continua ad esistere negli insegnamenti che ogni atleta trae dal proprio percorso – oro, argento, bronzo e pure legno che possa arrivare a coronare il tutto.
Una generazione, la Z, che scoperchia e rovescia una visione datata e sportivamente controproducente.
Si è visto anche dalle parole di Francesca Fangio, la ranista livornese classe ’95 che non è riuscita a qualificarsi nella finale dei 200 rana. Arrivata in zona mista Elisabetta Caporale la accoglie con un gentile e rincuorante “oggi non è neanche troppo la tua serata”.
Francesca Fangio le risponde che non è così ed esprime educatamente il suo punto di vista: “non sono contenta del tempo e penso di poter nuotare meglio di così, ma non mi aspettavo di riuscire a fare un’altra Olimpiade. Per i giornalisti magari è brutto sentirsi dire che è bello anche solo poter partecipare, ma per me lo è stato”.
Francesca Fangio, così come Benedetta Pilato hanno dimostrato una qualità che a chi si aspetta medaglie e finali facili manca: la consapevolezza.
In un contesto sportivo dove spesso viene premiata solo la vittoria, le due nuotatrici hanno saputo valorizzare il loro impegno, comprendendo che il successo non si misura esclusivamente in medaglie. La loro soddisfazione per aver dato il massimo, anche senza un podio, mette in luce una mentalità che va oltre la retorica del “vincere a tutti i costi”.
Elisabetta Caporale ed Elisa Di Francisca, invece, hanno perso un’occasione per cogliere e celebrare questa nuova visione, rimanendo ancorate a logiche superate e a dinamiche sportive che non riconoscono il valore dell’impegno e del percorso.
Un caro saluto dunque ai Boomer e ai Millennial che ancora sostengono che se non vinci, fallisci. La Generazione Z dimostra che il duro lavoro e la dedizione non sempre si traducono in medaglie, ma restano comunque traguardi degni di rispetto. È il momento di abbandonare vecchi stereotipi e abbracciare una nuova concezione dello sport, dove la crescita e la soddisfazione personale contano più del colore di un metallo (o del legno) al collo.
Articolo scritto da: Veronica Zin